100 anni di storia del Michele Rua… per chi come me ne ha vissuti in prima persona quasi la metà, sono talmente tanti i ricordi e i momenti significativi, che diventa davvero difficile sceglierne uno, il più bello, il più curioso o semplicemente il più vivo nella memoria…

Così ho rispolverato i vecchi album delle foto e il quaderno dell’animatore… eh sì, anche noi avevamo il quaderno dei campi e degli incontri di formazione che per me era anche una sorta di “diario di bordo” su cui annotare riflessioni, esprimere opinioni e soprattutto collezionare ogni sorta di “ricordo”, dal menù del pranzo comunitario col Rettor Maggiore del 1989, ad una vecchia carta di caramella con il busto di don Bosco  circondato da tanti angioletti di gusto discutibile (e non mi riferisco solo alla caramella all’arquebuse che oltre 30 anni fa si trovava lì dentro).

Sfogliando il quaderno ritrovo il cartoncino stropicciato col promemoria delle date delle prove del presepe vivente allestito in Piazza Respighi… sul retro c’è scritto: ”Ho preso un sacco di freddo, ma lo rifarei; quest’anno anche grazie al presepe vivente sono riuscita a vivere meglio il Natale e a sentirlo più mio”.

Era il 1986 e il paziente regista e tuttofare che incredibilmente è riuscito a destreggiarsi tra chi si lamentava per il freddo, chi non aveva assolutamente chiara quale fosse la propria posizione da occupare all’interno della piazza e chi, pur essendone perfettamente a conoscenza, girovagava allegramente tra i diversi figuranti intrattenendosi in saluti e chiacchiere… era il mitico don Enrico Bergadano.

Continuo a sfogliare il diario e ogni foto, ogni commento e ogni adesivo, spilla, biglietto o ritaglio di giornale è un tuffo nel passato, è il ricordo di un’esperienza, di un sorriso al quale purtroppo magari non sono più capace di dare un nome, oppure di un nome al quale non riesco più ad associare un volto.

Nitidissime riaffiorano le immagini di tante edizioni di Estate Ragazzi: le interminabili partite di calcio sotto il sole del primo pomeriggio con i bambini instancabili che non sapevano cosa fosse un gioco “tranquillo all’ombra” e quante corse in quel campo di terra e pietre in cui di verde c’era solo il colore delle nostre pettorine!

E poi ancora il QGO (per i più giovani era il Quartier Generale Oratoriano), una piccola stanzetta che era rigorosamente off-limits per tutti i bambini, fungeva da deposito degli zaini e del materiale occorrente per i giochi, ma era anche e soprattutto luogo di scambio di impressioni, condivisione di idee e soprattutto “area relax” di cui godere rigorosamente a turni per non lasciare mai incustoditi i ragazzi.

Sono stati per me 50 anni non solo di avvenimenti, ma soprattutto di incontri con persone significative, primi fra tutti i sacerdoti e le suore.

Sorrido ancora al ricordo dei veri e propri assalti con conseguenti saccheggi del frigorifero dell’ufficio del parroco, don Guido Abà, che fingeva di volersi difendere dalle nostre incursioni di animatori accaldati e assetati, salvo premurarsi in prima persona del fatto che il suo piccolo frigo fosse sempre fornitissimo ed invitarci lui stesso ad entrare a bere un sorso di “qualcosa di fresco” ogni qual volta qualcuno di noi passava davanti al suo ufficio.

E quanta simpatica nostalgia al ricordo di don Virgilio che in teatro al mattino prima dell’inizio delle attività di ER e dopo la preghiera, faceva letteralmente impazzire i bambini cantando a squarciagola nel megafono la canzone dei pirati che ballano sul ponte delle navi che sul loro pennone avevano issata una bandiera vittoriosa e per lui era sempre e solo quella bianconera, mentre i bambini saltavano sulle sedie urlando i colori delle loro squadre del cuore…

Chiudo il mio album e il mio diario-quaderno.

Ho fatto un piacevolissimo viaggio nel passato. L’oratorio è stato per me il luogo della quotidianità condivisa: qui ho trascorso gran parte del mio tempo libero dagli impegni scolastici. Ogni pagina, una tappa, il ricordo di un momento ricco di emozioni… oggi le stesse di allora…

I bambini delle polaroid sbiadite degli anni 80 sono cresciuti, qualcuno purtroppo non c’è più e ci ha lasciati troppo presto, altri vivono lontano da Via Paisiello, ma molti sono ancora qui, sono i genitori dei bambini e dei ragazzi che oggi frequentano il Michele Rua; a loro abbiamo passato il nostro testimone, nella speranza di aver trasmesso non solo l’entusiasmo e la capacità di mettersi in gioco e di condividere i propri talenti con e per gli altri, ma anche il desiderio di realizzare il sogno più grande che don Bosco aveva nel cuore: essere felici qui e nell’eternità.