storia 27, 30 maggio 2022
          by Biagio Irene

Da ormai un anno i Lehman Brothers erano falliti dando inizio ad una crisi economica terribile. In Italia il governo era affidato a Berlusconi, non lo sapevamo ma da lì a poco sarebbe caduto il governo e lui non avrebbe più ricoperto quel ruolo.

Al cinema Cameron, tornava dopo Titanic, con un film di alieni blu alti 2 metri; tra i miei amici c’era trepidazione per il primo film di Checco Zalone e la Pixar sfornò Up. Nelle orecchie ci risuonava ancora Arisa con Sincerità, tutti ballavano I Gotta Feeling dei Black Eyed Peas, tranne me che odio ballare; ma quell’estate dominava Domani: una canzone eseguita da molti artisti, i cui profitti erano destinati alle vittime del terremoto

che colpì L’Aquila. Avevano trasformato le immagini, di paura, disperazione e distruzione in un anelito di fiducia, in cui tutti speravamo.

Era il 2009 io avevo appena sostenuto la maturità e mi sentivo sulla vetta del mondo.

Avevo scelto l’università, avevo iniziato a frequentare una ragazza dell’oratorio, che sarebbe divenuta mia moglie; e in agosto avrei partecipato al viaggio dell’oratorio a Taìze, dove lasciai un pezzo di cuore.

In quell’estate feci l’animatore all’Estate Ragazzi e conobbi un ragazzo: D. che aveva appena terminato la  scuola media dell’Opera, portava i capelli lunghi, amante del basket e dello skate, un spirito libero; l’avevo già incrociato, e in quelle occasioni insieme non ci trovammo bene: io troppo rigido, lui irruento.

Una mattina, la ricordo bene, D. arrivò in oratorio abbattuto e nervoso. Rimase taciturno fino al momento della riflessione mattutina quando senza un perché, mi urlò contro e uscì dall’aula. Fui atterrito da quella piazzata, che fare? Rimanere in classe o andargli dietro? Calmai i ragazzi e continuai come se nulla fosse, a ripensarci non la scelta migliore. Fu il don, che arrivò in classe, a chiedermi di seguire D; lui si sarebbe occupato del resto dei ragazzi. Uscii e lo trovai in cortile solo e piangente. Mi sedetti accanto a lui e riluttante gli parlai senza ottenere risposta. Rimasi seduto in silenzio. Fu lui a raccontare dei suoi problemi, ricordo il tono dal sapore di rabbia e sconforto. Ascoltavo cercando le parole giuste ma alla fine non riuscì più a trattenermi e iniziai a piangere anch’io, è passato del tempo, ora lo racconto senza disagio. Non so perché, forse per i suoi problemi, forse per il giudizio che mi ero costruito, ma piansi e lo abbracciai senza dire una parola.

Quel ponte di emozioni cambiò le cose tra di noi.

Stava nelle regole, mi cercava spesso sia per scherzare sia per parlare se aveva un problema. Finimmo l’estate malinconicamente nel sapere di non passare più tutti i giorni insieme.

Arrivò settembre, io iniziai il Servizio Civile in oratorio, e D. passava spesso per salutarmi, per fare due chiacchiere, per qualche consiglio.

Mi ritrovai senza saperlo a dispensare parole all’orecchio, quelle che don Bosco dispensava, quelle di cui ero io il primo ad aver bisogno, pensavo spesso a questa responsabilità. Il tempo passava e D. prendeva decisioni importanti, alcune di esse non erano all’altezza del ragazzo che avevo visto o che speravo diventasse. Mi sbagliavo, quei giudizi erano solo mie illusioni, io dovevo solo ascoltarlo e provare a dare qualche consiglio. Continuammo ad incontrarci sempre meno e il nostro rapporto si raffreddò, immagino non volesse sostenere il mio giudizio. Smettemmo infine di vederci, smise di venire in oratorio e me ne rattristai.

Ci incontrammo una sola volta, per caso, per strada, entrambi cambiati, consapevoli che quel passato che ci legava non lo faceva più. Parlammo ma non più con la stessa complicità.

Continuo a chiedermi cosa avrei potuto fare diversamente, quale via avremmo dovuto seguire per rimanere sullo stesso sentiero… essere consapevoli della responsabilità delle persone che l’oratorio ci mette accanto non è semplice, ma è una sfida che riguarda tempo e eternità, corpo-spirito, cuore-mente, che ci unisce tutti come figli dello stesso sogno.