storia 22, 28 aprile 2022
by Massimo Garbi
Avevo 16 anni quando per la prima volta non andai in vacanza con i miei genitori per tutto il periodo estivo. Il “don”, per la precisione Don Guido Abà, parroco al Michele Rua dal 1974 al 1987, come da sua tradizione, fin da giovane sacerdote salesiano, propose ad alcuni di noi ragazzi, che collaboravamo con lui, di fare un viaggio per l’ Italia di una quindicina di giorni. Detto fatto!!! Carichi a 1000 per questa nostra prima esperienza “senza famiglia” salimmo sulla mitica 850 azzurrina (colore terribile!!) del don. In cinque su quella macchinina, più le valigie. Se ci penso oggi mi chiedo come abbiamo fatto e con quale coraggio don Guido si mise in quella avventura. E siccome eravamo anche tutti minorenni avrebbe guidato lui solo per tutto il viaggio. Per ottimizzare i costi si sarebbe dormito in case salesiane. Prima destinazione la Sicilia. Ci imbarcammo con la nostra macchinina e il don ci disse: “Mi raccomando chiamatemi
zio!” Potete immaginare come ci scatenammo, facendo gli scemi per tutto il viaggio e destando la meraviglia della gente che si complimentava con lui che portava in giro quattro nipoti da solo… e senza la zia! Ma il segreto di pulcinella fu svelato mentre la nave stava entrando in porto. Un signore si avvicinò a “zio” e gli disse: “Mi scusi, ma è da ieri che la sto guardando. Ma lei non è don Guido il Parroco?”. Impossibile viaggiare in incognita. Che figura!!!
A Palermo, per la prima volta, mangiammo a tavola con i salesiani. Le portate arrivavano e andavano e ad un certo punto il Direttore della casa picchiò con la forchetta sul bicchiere. Tutti in piedi, preghiera…e il pranzo era finito… con il cibo ancora nel nostro piatto!!! Dal giorno dopo ci facemmo furbi, accelerando nel mangiare per non restare a bocca asciutta.
Tra le tante tappe andammo anche dei salesiani di Pedara, sulle falde dell’ Etna, dove ci fermammo qualche giorno, anche perché intanto era partita la frizione della macchina. La prima notte non si chiuse occhio. Il campanile suonava ogni 15 minuti: un incubo. Al mattino il direttore della casa notò i nostri occhi stanchi e ci chiese il motivo. Dispiaciuto dell’ inconveniente andò dal sindaco per annunciargli che avrebbe sospeso il suono delle campane, nelle ore notturne, per non disturbare i suoi graditi ospiti. Un mito!!
Gira e rigira arrivammo anche dai salesiani di Castellamare di Stabia. Alla sera andammo a cenare in un locale sul mare, una vista meravigliosa. Don Guido si accorse di avere ancora nello zaino le coscette di pollo che la brava suor Maria cuoca, del Michele Rua, gli aveva preparato per il viaggio. Vista la quantità di giorni trascorsi era bene disfarsi di quelle coscette un po’…andate! Siccome il locale dava sul mare il pensiero che ci venne fu immediato: un bel volo fuori della finestra. Con molta eleganza don Guido mise la mano nello zaino, tirò fuori il pacchetto e con gesto velocissimo lanciò il tutto verso l’esterno. Peccato che i vetri erano così puliti che non li avevamo notati. Le coscette si spiaggiarono sulla vetrata e scivolarono rovinosamente sul pavimento tra l’ilarità di noi, dei clienti e anche del cameriere che seppe sdrammatizzare il fatto.
Nella risalita dell’ Aspromonte ci fermammo dove “Garibaldi fu ferito, fu ferito ad una gamba…” e mangiammo qualcosa in un piccolo locale e don Guidò apprezzo alquanto il Cirò fresco della caraffa, tant’è che all’uscita non si ricordava se aveva pagato il conto. Ci guardammo preoccupati e cercammo subito rimedio al pericolo incombente: tiranno fuori il libretto dei canti e cominciamo per tutto il viaggio a cantare a squarciagola coinvolgendo il don nei ritornelli per tenerlo sveglio. Ad un certo punto si fermò e disse: “Vi vedo un po’ stanchi, magari ci fermiamo un attimo” …..e crollò in un sonno ristoratore sotto un pino con grande approvazione da parte nostra.
Fu una delle tante vacanze che negli anni facemmo con don Guido (che si organizzò però nel chiedere in prestito la macchina di sua nipote!), un sacerdote entusiasta della sua vocazione salesiana e di prete. Ogni giorno durante il viaggio ci faceva pregare insieme recitando le Lodi e i Vespri e a volte il rosario mentre si viaggiava. E quando non potevamo celebrare la messa quotidiana in qualche chiesa ci si radunava in camera, seduti sul letto, e si celebrava aggiustandoci con quello che avevamo: una fetta di pane “rubata” a pranzo e del vino. Il bicchiere della camera diventava il calice per la celebrazione. Forse non era tutto “canonico”, ma nessuno di noi ha mai dimenticato quei momenti e gli insegnamenti che il don ci trasmetteva con la sua semplicità. Grazie don Guido!