storia 12, 10 marzo 2022
            by Carlo Varetto

L’altro giorno nella nostra Chiesa, riuniti per salutare l’amico Gigi, mi sono ricordato del tempo in cui l’ho conosciuto: eravamo nel 1943 – 44 (io sono del 1930) e ricordo un simpatico bimbetto con il nasino all’insù; io ero un po’ più grande, avevo circa l’età dei suoi fratelli Giovanni e Beppe. Ricordo che abitavano in Via Brandizzo angolo via Santhià, sopra alla

panetteria di Bertotto, suonatore eccellente di fisarmonica (che poi fu titolare per molti anni di un negozio di dischi in via Cherubini); di fronte vi era il negozio dei genitori di Attilio Cristino, oratoriano anche lui, che ci ha lasciati tantissimi anni fa…

In quegli anni gli inverni erano freddissimi, ricordo che portavamo secchi d’acqua, dietro la Chiesa in via Viriglio (allora al posto delle case vi erano orti ed era poco più di un sentiero) poi l’acqua gelava e noi prendendo la rincorsa dall’esterno del tratto gelato, facevamo la “sghiarola” scivolando sul ghiaccio con le scarpe chiodate, come si usava allora per risparmiare le suole… Avevamo inventato quello che poi divenne noto come il “limbo”: due reggevano un bastone (preso dalla siepe degli orti) posizionati sul finire del tratto ghiacciato; bisognava passarci sotto, ad ogni giro il bastone si abbassava e alla fine pur di non dover “perdere” passavamo sotto sì, ma sdraiati sul ghiaccio…

Poi quando fuori dalla chiesa, di fronte alla bara, Angelo ci ha chiamati per il canto dell’addio mi sono ricordato che… Era l’inverno del ‘44 e Don Quarello, che in quell’epoca si dedicava più al coro che alla fanfarina (per il coro bastava cantare e non occorrevano strumenti), voleva preparare la “Messa cantata per il Santo Natale”. Vi era il pezzo solista con Pavan che cantava, con la sua bella voce baritonale, “Natal, Natal ecco s’avanza il Redentor” e invece con il coro veniva preparata la Messa a tre voci del Perosi.

In quel tempo le serate si passavano con don Masoero (don Bernard) a preparare le recite o giocando a ping pong se avevamo palline, ma questa è un’altra storia…

Le prove avvenivano inizialmente al primo piano dove ora vi è l’Unione Uomini, mi aggregai anch’io, eravamo praticamente tre gruppi (le tre voci) e Don Svicio (così lo chiamavamo) mi mise in uno, poi la sera seguente mentre “ce la mettevo tutta”, il Don guardò verso di me e mi spostò di gruppo, stessa cosa due o tre sere dopo, poi, dopo altre due sere, guardò di nuovo verso di me: “Sent, va a gioghi a ping pong, l’è mei par ti e noi…”. Ottenni poi la sera del Santo Natale di entrare, tacendo, nella cantoria con il coro. Già, perché a quei tempi vi era la cantoria in alto al fondo della chiesa, ora vi è un brutto muro a chiudere.

Ma la storia della mia vocazione canora continua nel finire del 1950: ero a Lecce alla scuola per ufficiali di complemento e alla sera ci trovavamo per cantare con gli altri aspiranti alpini (al corso vi erano tutte le armi). Dopo qualche sera, l’Angelo Mezzano della situazione mi disse: la voce c’è e d’ora in avanti farai la campana, ad esempio nel coro la sposa morta… E anche ora quando Angelo chiama mi avvicino anch’io, ma sto ZITTO!