L’Eco di Monterosa è stata la piccola rivista che in questi 100 anni ha più volte cercato di raccontare la vitalità dell’Opera del Michele Rua. Per svariati motivi non ha avuto continuità nel tempo e da molti anni è praticamente scomparsa. Ne ho nostalgia, anche perché, in un periodo in cui i Salesiani Cooperatori si assunsero l’impegno di curarne la redazione e la stampa, io collabora all’iniziativa scrivendo articoli e curando una rubrica fissa.
L’insensata e tragica guerra di questi giorni mi ha fatto tornare in mente uno degli articoli, dal titolo “Guerra e Festa”, scritto in occasione della festa della Comunità del maggio 2003. Lo ripropongo oggi alla lettura, con gli stessi sentimenti di allora e con l’invito a controbattere gli orrori dell’ennesima guerra vivendo con serenità i nostri normali e quotidiani riti di pace.
Ma sia, ora più che mai, pace attiva e solidale con chi non ce l’ha.
Guerra e festa.
Sta per scadere il tempo di consegna degli articoli per l’uscita dell’Eco di Monterosa di maggio. Contrariamente ai numeri precedenti, per i quali le idee affollavano la mia mente e uscivano facili e vogliose dalla penna, questa volta non so proprio che cosa scrivere e perché dovrei scrivere: immenso vuoto interiore, incapacità assoluta di concentrazione, nausea profonda per le parole.
Dove sono finiti il mio ottimismo, la spinta alla positività, l’interesse e la ricerca della relazione con gli altri?
Dal televisore acceso, solo notizie di guerra e di morte. E io dovrei scrivere? Per dire cosa? Per ripetere banalmente, come tutti o come tanti, che sono per la pace, che condanno Bush, Saddam, ecc..?
Non ci casco, mi vergognerei di contribuire ad incrementare il fiume di parole che ha invaso il mondo.
Vorrei unirmi, invece, agli “operatori di pace”, a quelli che la pace più che predicarla, la vivono e la praticano. “Operatori” e “contaminatori” di pace, sempre e dovunque: con il cuore, la vicinanza, la comprensione, la misericordia, l’amore.
Pensando a costoro mi riprendo dal mio vuoto, dalla nausea, dall’impotenza e dalla voglia di isolarmi.
Ho esempi splendidi e stimolanti, lontani e vicini, di operatori instancabili di pace. Li ho in famiglia come al di fuori, tra personaggi importanti e fra la gente comune. Molti li incontro per strada, nelle associazioni, nei gruppi di volontariato. La nostra comunità ne è piena: salesiani, coadiutori, cooperatori, animatori, famiglie, ragazze e ragazzi: tante persone che non amano “starsene in pace”, ma lavorare per la pace, l’amicizia, l’accoglienza.
E allora… non mi scandalizza questo “maggio in festa” della mia comunità in tempo di sporca guerra.
La festa è il tripudio e l’esaltazione della pace, il modello di vita che si vuol proporre al mondo: bimbi felici che giocano e gridano, ragazze e ragazzi liberi che fraternizzano, giovani e adulti che si incontrano per identità di ideali, coppie tenere ai primi approcci amorosi o già in vista di un futuro insieme, persone tutte che liberamente celebrano i propri riti, cantano le proprie canzoni, partecipano a spettacoli o semplicemente riposano rilassati nel tempo libero dal proprio lavoro.
No, non mi turba affatto questo “maggio in festa”: so che il pensiero di tutti è altrove, ove si vorrebbe regnasse la stessa serenità e la stessa gioia.
Lo scandalo non è la festa, ma la guerra.