storia 29, 23 giugno 2022
by Elisa Abrigo
Hai da fare questo fine settimana? Questa la domanda che don Guido Abà, parroco del Michele Rua dell’epoca, mi fece un giorno di quasi 40 anni fa, in un torrido pomeriggio di giugno nel cortile dove era solito chiacchierare con noi al termine della faticosa giornata di E.R.
Presa alla sprovvista, chiesi per cosa e, cosa oggi un pochino fuori moda, don Guido, di rimando, mi disse di chiedere a casa se avessi potuto andare via con lui e con alcuni miei amici per una missione che non ci rivelò subito. Mamma e papà, come erano soliti fare, fecero un po’ di storie….. mille domande, provarono ad inventarsi gite di famiglia, pranzi …. ma alla fine riuscii a strappare il permesso. 16 anni nel 1985 era
ancora un’età in cui non potevi prendere le tue decisioni, ma erano i genitori che dovevano consentire le esperienze.
Appuntamento in cortile dopo pranzo, un giovedì pomeriggio, unica raccomandazione non portarsi troppo dietro perché il bagagliaio doveva essere non troppo occupato…. al rientro dovevamo caricare qualcosa di misterioso che ancora non sapevamo cosa fosse.
Monica e io, la mia amica più cara, eravamo euforiche, ma tutti i partecipanti erano gasati, ci aspettava un viaggetto con il parroco a cui eravamo tanto affezionati, in Trentino dove non eravamo mai stati.
Partiti da circa mezz’ora il parroco era già pentito di aver proposto a noi due, amiche, infaticabili linguacce, persone dalla fantasia inesauribile e dalla pluralità di argomenti, una convivenza così stretta nell’abitacolo della sua indimenticabile 127 sport blu, insomma, in poche parole, ne aveva già i tubi pieni e le orecchie rosse dalla fatica di ascoltare, guidando, le nostre chiacchiere e i nostri pettegolezzi di sedicenni. L’altra macchina ci seguiva a ruota, con un equipaggio altrettanto allegro e spensierato. Dopo un viaggio avventuroso e ricco di sorprese arrivammo in un alberghetto carino e familiare che non era certo extra lusso ma a noi pareva 12 stelle.
I paesaggi che avevamo intorno poi erano di una bellezza indescrivibile.
Il giorno successivo partimmo per raggiungere il luogo misterioso meta del nostro viaggio per visitare un meraviglioso laboratorio artigianale di uno scultore del legno.
Cosa ha portato il nostro “Parrochino” nel Trentino e in particolare in quel laboratorio? Il suo desiderio per tutta la vita è stato cercare di portare i suoi parrocchiani al Signore, suo unico ed indiscutibile capo, non ha mai lesinato sforzi e parole per consolare, accarezzare e consigliare un cammino di fede più solido e profondo. Per fare questo ha anche cercato di curare la casa del Signore nel modo migliore possibile, egli infatti diceva che chi entrava in Chiesa doveva essere accolto da una chiesa bella, calda, impreziosita dalle attenzioni dei sacerdoti, piccolo esempio della cura che avrebbe avuto Dio per chi lo cerca. Non doveva essere semplicemente una chiesa, lui voleva che fosse la casa in cui tutti avrebbero dovuto sentire il calore e l’affetto di Gesù e una via crucis bella avrebbe accompagnato la preghiera assidua dei fedeli che potevano vedere concretamente cosa Dio fosse disposto a fare per l’uomo.
La passione che don Guido mise nell’accogliere ogni giorno trascorso al Michele Rua bimbi, giovani, adulti, genitori, nonni non fu minore delle attenzioni rivolte alla sua chiesa. Grazie don Guido, oggi la via crucis è ancora appesa e le tue parole sono ancora nel mio cuore, ora tocca a me far sì che quell’amore arrivi in tutte le persone che incontro.